Che fine ha fatto Clubhouse?

Che fine ha fatto Clubhouse?

Cosa impariamo da una storia di (in)successo

Premessa

Clubhouse è un social in cui si può solo parlare e ascoltare

Lanciato per la prima volta ad aprile 2020, è arrivato a contare 2 milioni di utenti a gennaio 2021.

La piattaforma ha vissuto il suo boom in Italia intorno a dicembre 2020.

In quel periodo Clubhouse è stato valutato quasi 100 milioni di dollari. 

Il 21 gennaio 2021 la valutazione ha raggiunto il miliardo di dollari.

Oggi la piattaforma è veramente piatta.

Ma facciamo un passo indietro per ricordare la brezza e il fascino di quella novità.

Sulla bocca di tutti

Tutti bramavano di unirsi alla community, apparentemente impazienti di far sentire la propria voce. L’esclusività dell’accesso su invito ci aveva restituito un entusiasmo che non provavamo da un po’ per i social network. Complice il periodo pandemico, la voglia di lanciarsi in nuove forme di intrattenimento e socialità era tanta. Il fascino di uno spazio in cui poter ascoltare e interagire in diretta con personaggi pubblici era irresistibile. 

Le voci più autorevoli nel mondo della comunicazione hanno provato a tenere il cerchio chiuso intorno ai professionisti di settore, in ricerca di un dialogo “di alto livello”. 

Parallelamente canali che parlavano di oroscopo e room aperte solo per aumentare i follower incominciavano a dilagare.

Mentre gli inviti stavano costruendo una community intorno ai pochi fortunati che potevano dispensarne, l’entusiasmo degli altri in attesa si è pian piano affievolito.

Quello che poteva essere l’inizio di una nuova era si è rivelato un grande fuoco di paglia. 

Ci siamo chiesti perché e abbiamo provato a darci delle risposte. 

Esclusivo o no?

Per accedere a Clubhouse dovevi essere invitato da qualcuno che ne faceva già parte. Già dalla scelta del nome, che ci riporta a club e circoli esclusivi, è chiaro il posizionamento che intendeva avere il social. Se da una parte questa strategia ha creato desiderabilità, dall’altra ha generato alte aspettative. 

Una volta entrati in piattaforma l’offerta di contenuti era abbastanza polarizzata. 

Nel mondo della comunicazione, per esempio, si andava da voci autorevoli a pseudo guru del marketing. L’impressione era quella di assistere a dialoghi tra insider da cui trarre spunto rimanendo semplicemente in ascolto. L’autorevolezza degli speaker era inversamente proporzionale all’interazione con il pubblico. 

Lo stesso pubblico che veniva in qualche modo escluso da questi dialoghi di alto profilo, si è organizzato per creare degli spazi in cui trovare quello che cercavano: socialità. Ecco che spopolano le stanze per tutti, in cui si chiacchiera del più e del meno, in cui ci si scambia follower, in cui si flirta. La lotta tra contenuti di qualità e contenuti mainstream è ufficialmente aperta.

Questa piccola crepa nella coerenza di Clubhouse fa nascere il dubbio: è un club veramente esclusivo o era una scusa per aumentare l’hype del lancio? 

L’inchiesta della Stanford Internet Observatory

Mentre gli utenti sono ancora inebriati dalla novità, dubbi ancora più importanti sorgono nelle menti di un gruppo di ricercatori della Stanford Internet Observatory. I dati degli utenti Clubhouse sono al sicuro? Come e dove vengono archiviati? Chi ne può disporre? Così aprono un’inchiesta per snocciolare la questione. La brutta notizia è che sono emerse tante falle nella gestione dei dati

La più eclatante riguarda l’infrastruttura di back-end dell’app Clubhouse, fornita da Agora, azienda con sede a Shanghai. L’inchiesta ha confermato quello che già si sospettava: il numero ID Clubhouse e l’ID della room di un utente sono trasmessi ad Agora. Quest’ultima potrebbe avere accesso anche all’audio grezzo degli utenti, fornendone a sua volta potenzialmente accesso al governo cinese. Questo è un problema, dal momento in cui è possibile collegare gli ID Clubhouse con i profili personali degli utenti. È un problema soprattutto per gli utenti cinesi che partecipano a stanze in cui si parla di argomenti politici e che possono essere definiti dal loro governo attività illecita. Per approfondimenti sull’inchiesta clicca qui.

Per guardare a casa nostra, la piattaforma ignora completamente la normativa GDPR.

Il gioco vale la candela?

Per parlare bisogna conoscere, per conoscere bisogna studiare, per studiare ci vuole motivazione, per essere motivati ci vuole una ricompensa. Ecco è proprio la ricompensa che forse è mancata agli utenti di Clubhouse – dai semplici ascoltatori ai content creator.

I contenuti creati con tanto impegno – e mi riferisco alle stanze ben organizzate, con un obiettivo e un argomento a fuoco – si dissolvono e si consumano nello stesso momento in cui vengono trasmessi. Non vengono salvati sul profilo, non possono essere riascoltati per fissare delle nozioni, non possono essere in alcun modo essere condivisi su altre piattaforme per aumentarne il pubblico. Per i creator digitali, non possono essere così facilmente monetizzati. Certo uno potrebbe registrare le conversazioni e pubblicarle su altre piattaforme ma allora perché restare su Clubhouse se abbiamo già le dirette Facebook e Instagram e le chat room di Twitter?  

Alcuni progetti nati su Clubhouse si sono effettivamente spostati su altri format. Il club Persuasori Occulti di Paolo Iabichino e Giovanni Boccia Artieri, per esempio, è diventato un podcast. Recuperalo qui.

Da una promessa di esclusività non mantenuta al completo sgretolarsi di un engagement già fragile, è stato un attimo.

Show don’t tell

La voce, così potente e così diretta, non ha bisogno di filtri – ha bisogno di un messaggio.

Eravamo curiosi di scoprire se la forza della voce avesse potuto sostituire in qualche misura l’impatto di immagini e video. Sono tanti i motivi per cui questo non è accaduto, mi limiterò a racchiuderli in tre categorie:

Noi

Il nostro ego, le insicurezze e quanto siamo disposti a metterci in gioco.

Il messaggio

Potente o debole, urgente o irrilevante.

La voce

Autorevole o discutibile, credibile o ambigua.

In questo gioco di forze contrapposte, è tutta una questione di incontro – tra le persone con i loro interessi e aspettative e chi vuole partecipare al dialogo portando il proprio valore aggiunto.

Il successo dipende dal livello di coinvolgimento sul tema, dalla dimestichezza dei partecipanti con lo strumento, dalla disponibilità di cambiare per raggiungersi.

In uno scenario ideale i messaggi arrivano forti e chiari, anche senza immagini che aiutino a vedere.

Cosa ci portiamo a casa?

La sostanza sta nel messaggio, il format è solo un mezzo.

Se hai qualcosa di importante da dire, dillo e mettici passione. Non dimenticare chi ti ascolta: coinvolgilo. Le parole creeranno l’immagine di quello che racconti nella mente di chi ti ascolta. Questo fa tenere il pubblico incollato alle cuffie, allo schermo, al tuo libro o al tuo company profile.

Un marchio deve essere coerente

Nella comunicazione, nelle azioni, nelle relazioni con i propri stakeholder. Un problema di coerenza può portare a conseguenze irreparabili.

Facciamoci 2 domande

In questo articolo ci sono tante domande. Anche questo è un ottimo spunto: alleniamo il nostro spirito critico e non accontentiamoci delle prime risposte che ci vengono in mente. Impariamo a dare la nostra fiducia a chi se la merita, a chi mantiene le promesse, a chi fa buon uso della nostra attenzione e dei nostri dati.

Se ti vengono in mente altri spunti da questo caso di (in)successo, scrivi un commento.

Se mentre leggi senti una voce in testa, grazie dell’ascolto!

Cristina

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